27 agosto, 2010

Fotografia di un blog in un blog di fotografia

A me piacciono i ritratti. I ritratti sono delle foto in cui si viene bene. A-ah! Sbagliato. O meglio, mica solo quello. I ritratti possono essere delle foto in cui i nostri amici ci dicono “ma sei bellissimo/a! non sembri neanche tu!!” (e allora che ritratto è? Di CHI è quella foto??) ma possono aprire mondi estremamente più affascinanti quando raccontano qualcosa del soggetto. Nel ritratto posso narrare parti di me che nessuno conosce; nel ritratto posso narrare parti di me che non esistono. Posso fare dei ritratti senza fotografare il soggetto. Insomma, il ritratto è un’avventura pazzesca e vi assicuro, un fotografo ritrattista scopre cose che neanche uno psicologo ben affermato…
Ed io? Posso fotografare un blog? Certo, dietro un blog c’è una persona, ci son due manine che pigiano veloci sui tasti. Ecco la mia foto.
1- La foto più brutta che feci nella mia vita, la feci probabilmente a lei. 25 marzo 1990, Parigi. In gita scolastica una classe si ferma in una brasserie di fronte alla gare de Lyon a fare colazione alle 7,30 dopo una notte quasi insonne in treno.
Punto e clicco.
Son ritornato in quella brasserie a gennaio 2010. Ho cercato lo stesso tavolo che era libero. È stato un rito, nulla di che. Ma l’ho fatto senza fotografare.
2- Un’anima ecologica. Una ragazza (bio)diversa. Caparbia, vegetariana, una di quelle che si alza alle 4 del mattino per vedere al freddo le stesse cose che Quark ti propone quando sei sul divano. Tanto di cappello.
3- Un regalo. La figlia di un orologiaio ti regala un orologio. Facile. Ma il biglietto? Lo apro e campeggia in maiuscolo “SVEGLIA!!!”. Va’ che è raro trovare qualcuno che ti strigli a dovere, di questi tempi. Ed anche di quei tempi là.
4- Da sempre e per ragioni strane, mi associò al riccio. Parlo poco, dico meno. La cosa migliore è che adesso non è più così.
5- Uno dei più bei regali. E’ ancora lì. Lo è sempre stato. Ha visto 4 case, due traslochi e un sacco di occhi e chiedevano “e questa chi è?”. E per 13 anni la risposta è sempre stata: “un’amica”.
6- Questa è proprio una bella foto: perché ti dice che siamo stati compagni di scuola. Ma quel che più importa è quel che si legge sotto, in trasparenza.

21 agosto, 2010

Un ramarro dal cuore grande

Il rientro dalle vacanze è sempre un po' faticoso, almeno dal punto di vista organizzativo: svuotare le valigie, scoprire che un buon 30% di ciò che si era portato, considerandolo indispensabile, alla fine è rimasto ripiegato sul fondo, aprire coraggiosamente la borsa degli indumenti da lavare, possibilmente muniti di molletta al naso ed introdurli il più velocemente possibile in lavatrice, prima che sviluppino i loro potentissimi gas tossici, guardarsi intorno, prendere una boccata d'aria sul balcone e bisbigliare timidamente "Rieccomi qui! Sono dinuovo a casa". Insomma, gradualmente, ricominciare con la solita routine alla ricerca magari di qualche novità virtuale che riesca ad incuriosire l' occhio e l' intelletto. Trovata! Finalmente dopo averne a lungo parlato, si è deciso: ha elaborato un originale nickname, pensato ad un titolo d' effetto e, come capita generalmente ai nuovi bloggers, iniziato a scrivere "a dita libere", quasi un post al giorno, con l' entusiasmo di chi ha voglia di "connettersi" con il mondo intero. Lo so, lo capisco, è capitato anche a me ormai due anni or sono o tre...Sorrido sempre ripensando all' inizio di questa mia avventura e vorrei trasmettere l' entusiasmo di allora anche a lui, incoraggiandolo nell' impresa. Non credo abbia bisogno di consigli su come difendersi dai commenti poco gradevoli, poco costruttivi e graditi, lasciati spesso nell' anonimato: prima o poi un po' ci si fa l' abitudine un po' li si impara ad ignorare, alla fine non si scrive solo per essere "commentati" nè per attirare l' attenzione, si scrive perchè non se ne può fare a meno, perchè il cervello, anche se non sempre in sintonia con la mano, manda un impulso nervoso alle dita che iniziano a scorrere velocemente sulla tastiera per il sano principio del "Oggi ho qualcosa da dire, magari a qualcuno interesserà...". Tutto il resto verrà da sè: i post a quattro mani, lo scambio di commenti e tutto ciò che rende un blog "speciale" anche solo per il fatto che è unico, originale, irripetibile.
Quindi...Signori e Signore ed ecco a voi....(rullo di tamburi)...http://lucesospesa.blogspot.com/ by Cuor di ramarro. Io lo seguo.

05 agosto, 2010

Il calzino spaiato

Nè casalinga nè disperata direi, piuttosto, la disperazione delle casalinghe: mi destreggio svogliatamente tra "bucati-tavolozza" e "cenette pre-confezionate", filosofeggiando su come il ferro da stiro affronti coraggiosamente le pieghe di una camicia più o meno come si dovrebbero affrontare, prendendoli di punta, i risvolti della vita oppure sul perchè, alla fine, i calzini da stendere siano sempre rigorosamente dispari ed i piedi, fino a prova contraria, pari. Guardandomi intorno, con una molletta fra i denti ed un "superstite" blu scuro fra le mani, li ho contati e ricontati, tutti fieri e ben allineati seppur appesi ad un filo e sospesi nel vuoto, da destra a sinistra o da sinistra a destra, sempre 12, nessun imboscato nella bacinella, nessun timido ancora al riparo nel cestello della lavatrice, 12 come gli apostoli, figli di Eolo, pronto ad asciugare con un soffio le loro lacrime di detersivo e cancellare tracce di peccati maleodoranti. E tu? Chi sei tu che ancora mi sembri tremare, per la doccia fredda del risciacquo, tra le mie mani screpolate? Tu di chi sei seguace, misero calzino blu? Dov'è la tua anima gemella? Ed ecco come in un soleggiato mattino di agosto è nata, frutto di una mente assai contorta, la teoria del "calzino spaiato". C'è chi per non correre rischi e facilitare l' accoppiamento, stringe la coppia insieme in un nodo che, una volta terminato il ciclo di lavaggio, è davvero un' impresa sciogliere: i calzini sono vincolati l' uno all' altro senza possibilità di svago, una centrifuga da far girar la testa o un prelavaggio effervescente, niente, routine, blu con blu, nero con nero. Chi addirittura ha il tempo, nonchè la pazienza, di personalizzarli con un punto di filo colorato nella speranza che un' onda "travolgente" non riesca a scucire quel segno di riconoscimento. C'è poi chi, un po' come me, si affida alle caratteristiche "genetiche": la trama del filato o il suo spessore, la resistenza o l' altezza dell' elastico, eventuali marchi di fabbrica logori ma ancora leggibili. Quando si rivelano vani tutti i tentativi di ricongiungimento, non resta altro da fare che classificare il povero malcapitato come "abbandonato" e riporlo tristemente in quell' apposita borsettina di carta che ospita gli eroici calzini "single". Sono puliti, profumati, di bell' aspetto ed attendono fiduciosi o il ritorno del compagno o di trovare qualcun' altro che non badi troppo alla loro lunghezza o alla loro integrità, all' esatta corrispondenza, non si sentono affatto "scarti" di una società così ben allineata lungo i fili della biancheria bensì anime libere che, una volta in lavatrice, si sono affidate ai vortici di quello che, all' apparenza, assomigliava solo ad un giro in giostra. Ogni tanto sbircio e li conto, aumentano e la cosa, a dire il vero, mi preoccupa un po'. Possibile che l' effetto dell' ammorbidente non riesca a moderarne le pretese e a rendere gli incontri più semplici? Possibile che per ritrovarsi dopo essersi persi si debba soggiornare così a lungo in una buia borsa di carta?
L'esigente lo cerca lungo almeno fin sotto il ginocchio, l' insicuro quello dall' elastico robusto e che non sgualcisca al primo incontro, il pignolo dello stesso punto di colore, lo sportivo solo di spugna, il malinconico masochista meglio se bucato...
Morale della favola-teoria: ahimè la borsa è piena anche se in coppia si cammina meglio.