27 maggio, 2009

Fratture scomposte


Da bambini si frignava per una caduta dalla bicicletta, lacrimoni che come rigagnoli solcavano le guance, ci si contorceva dal dolore per essersi "sbucciati" un ginocchio e solo una volta che compariva la crosta si era più sereni, a volte (per me era così) ci si vantava addirittura con i compagni di giochi per la sua forma strana ed il suo spessore, altre volte (già masochista allora) la si sollevava con le unghiette ed era una gran soddisfazione staccarla poi completamente, stringendo i denti e consegnandola, come fosse un trofeo, ai propri genitori, che riuscivano sempre a nascondere dietro ad un sorriso, un' espressione giustamente schifata. Il tempo dell' arrivo di una crosta e le guance erano dinuovo rosee ed asciutte. Non credo di essere stata l' unica bimbetta ad andar fiera delle proprie crosticine, dei propri capitomboli dalla bicicletta e dei bernoccoli per le mille cadute accidentali. Amavo il rischio e la parola dolore, allora, non aveva per me un gran significato, tutt'al più dolore=crosta. Mi "ferivo" spesso ma da una volta all' altra non ne temevo le conseguenze. A cinque anni, per correre al telefono e salutare mia nonna, sono scivolata sul pavimento del salotto, in marmo, accuratamente incerato, come la miglior pattinatrice su ghiaccio, creando una coreografia non poi così aggraziata ma sicuramente d' effetto visto il risultato...Tre giorni di ricovero al Maria Vittoria per accertamenti ed io sorridente e spericolata a divertirmi scorrazzando in corsia alla ricerca di Annusca, la mia infermiera preferita e Massimiliano, sfortunato ragazzino caduto da una pianta di mele e con relativo braccio ingessato. Ma non finisce qui. L' avventura sicuramente più emozionante l'ho vissuta a dodici anni quando, galeotto fu il lago di Como e la traversata sul battello, mi ritrovai, una volta rientrata dalla gita scolastica, un bel focolaio di broncopolmonite al polmone sinistro...Quindici e dico quindici giorni di ricovero, sempre al Maria Vittoria. E anche stavolta...ma quanto mi sono divertita?! Io e le mie compagne di stanza giocavamo a Candy Candy e riempivamo scatole e scatole di provette in plastica che le infermiere ci davano da tappare per tenerci occupate, di sera guardavamo la Tv sul letto di Francesca e inventavamo strane storie dell' orrore che alla fine però ci facevano solo ridere. Tutti i giorni un prelievo, tutti i giorni due siringate di cortisone e mai una lacrima. Sta a vedere che a dodici anni ero una roccia e a trentacinque sono un budino. L' incoscienza forse, il riuscire a trovare sempre il lato positivo delle cose, il non abbattersi troppo davanti alle difficoltà, il prendere tutto un po' meno sul serio, lo sguardo più limpido ed innocente, il non temere le conseguenze di qualsiasi azione come l' arrivo di vere e proprie catastrofi naturali. Adesso che ci penso mi sembra così assurdo che mia madre, sempre così apprensiva, piangesse in corsia mentre io ridacchiavo felice solo per una vittoria a scala 40. Incredibile, ricordo tutti i volti ed i nomi dei protagonisti di questa mia avventura ospedaliera e li ricordo tutti sorridenti: Francesca era cardiopatica, Fabio diabetico, Luana appendicite in peritonite...e quante risate tutti e quattro insieme. Adesso la mia stessa sensibilità a volte mi terrorizza, la paura dell' impotenza, il dubbio divenuto ultimamente certezza, di aver partecipato ad una sorta di "Gioco dell'oca" facendo ovviamente la parte dell'oca, piuttosto che della pedina. Episodi poco importanti per qualcuno, per nulla rilevanti ma che improvvisamente riescono a condizionarti la vita rendendoti un debole, un insicuro, una patetica vittima e l' impotenza allora sta proprio nel non riuscire a reagire come si vorrebbe. Tremila "perchè" e nessuna risposta e quindi...giù lacrime. Immaturità? Direi di si, alla quale ahimè non riesco a reagire come vorrei, come avrebbe fatto quell' agguerrita dodicenne senza scrupoli. Ancora frasi sconclusionate "a quante le stesse parole...le stesse illusioni...gli stessi giochi...contemporaneamente...". Non cercate un senso a tutto ciò perchè un senso non c'è (più). Adesso quindi mi ritrovo ad aver paura di perdere un amico (e lo perdo), mi spaventa cambiare opinione davanti all' immagine di qualcuno che si sgretola improvvisamente, da un giorno all' altro, la delusione cocente di non riuscire più a farmi capire, a procurare un' emozione, un sorriso ma neanche una lacrima, un sospiro, niente. Queste sono le paure di una donna di trentacinque anni il 16 luglio che non sa cosa darebbe per trascorrere anche soltanto un pomeriggio con la dodicenne "roccia", per chiederle come faceva ad essere così coraggiosa e determinata, eppure lei era me, io ero lei. Debolezza, carenza di ferro...passerà! Forse, un giorno, riuscirò a ridere anch'io sguaiatamente e con indifferenza davanti a chi, anche solo una volta, ha ricevuto un mio sorriso sincero e spontaneo e non si sa perchè, l'ha ricambiato, un mio "ti voglio bene", magari riuscirò a prenderlo in giro, a giudicarlo un idiota, un illuso, uno che non si rassegna all' aver fallito, magari un giorno riuscirò a prendermi gioco della vita e di me. I bambini si confrontano le croste sulle ginocchia, io pseudo-adulta mi confronto con le mie paure: fratture scomposte.

23 maggio, 2009

S-comunicare


"Conservare lo spirito dell' infanzia dentro di sè per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare". B.Munari
Messaggi che galleggiano in un mare di bottiglie che si urtano fra loro ed il tintinnio nel seguire l'onda, crea una sinfonia di pregiato cristallo non solo di banale vetro, non "vuoti a perdere" ma, a volte, contenuti importanti, in ognuna di esse una storia, un' emozione, un s.o.s. Comunicare e s-comunicare. Il desiderio di esprimersi liberamente senza remore a quanto pare sta crescendo nell' essere umano in maniera direttamente proporzionale alla scoperta di nuove tecnologie e metodologie di dialogo per farlo e così è già routine comunicare al mondo, virtuale o reale che sia, che oggi ci si è innamorati oppure ci si è comprati un paio di scarpe nuove. All' inizio pensavo si trattasse di una forma inconscia di ricerca di considerazione, una sorta di fuga da una realtà in cui si è davvero in troppi ormai e questi non tutti ti guardano, non tutti ti apprezzano ma tu ci sei e vuoi farti sentire; poi qualcosa mi ha fatto cambiare idea e così adesso penso si tratti del bisogno di combattere la solitudine unendosi ad un coro, o anche le due cose insieme: un individuo solo che cerca di farsi notare sfiorando lo sguardo di milioni, miliardi di altri sguardi simili o completamente differenti dal suo. "Io sono qui !". C'è chi urla, chi fischia, chi, ancora un po' sperso, si guarda intorno non ritrovando nulla di ciò che gli è stato insegnato, di ciò in cui credeva, dell' unico modo immediato con cui cominicava: la parola. Non è più importante il tono di voce, la forza che ci si mette per far vibrare le corde vocali quando si è arrabbiati, basta attaccare il pc alla presa di corrente se la batteria non dura così a lungo e scegliere: "Oggi scrivo uno status enigmatico su Facebook o cinguetto su Twitter? Scrivo un post sul blog magari dedicandolo a qualcuno o ricerco un contatto perso su Messanger?" vasta scelta, ce n'è per tutti. Ci si prova, ci si butta e poi si aspetta, a volte è questione di secondi e qualcuno risponde al richiamo, a volte passano mesi e la bottiglia continua a galleggiare ma non tintinna più così bene. C'è chi lo fa solo per divertimento, chi per marketing vendendosi piuttosto bene e chi, curioso come me, cerca un confronto, un qualcosa o qualcuno che lo tranquillizzi facendogli capire che il futuro non è tutto lì. Si condivide un po' di vita ma le cose importanti sono ancora al di là di un monitor e se è bello, speciale ed emozionante scriversi o regalarsi fiori che però non profumano, lo è anche vedersi, toccarsi, parlarsi. Anche a me piace scrivere messaggi da infilare nelle bottiglie, mi piace sapere che qualcuno ancora li apprezza, mi piace dilungarmi in essi nella speranza di farmi capire e di arrivare trascinata da un' onda, continuamente urtata da altre bottiglie dalle forme più particolari, dai colori più luminescenti, dal tintinnio più melodioso. Le mie bottiglie sono un po' grezze, lo ammetto ed è molto facile riuscire ad inabissarle, i messaggi sono sempre o troppo lunghi o troppo noiosi, seguono l' istinto più che la corrente. Ultimamente ho conosciuto, a mia insaputa, ancora un' altra divertente forma di comunicazione ideale per chi ha poco tempo, l' esperimento con me è miseramente fallito ma sono sicura si rivelerà un successo. Lo "spara-emoticons": immediato, semplice, impossibile da fraintenedere, insomma comprensibile a chiunque...tranne che...a me! Incredibile ma vero e, chi mi capisce è davvero bravo, sono riuscita anche stavolta a dar voce e significato ad una pallina gialla con due occhietti ed una bocca, un sole, un chicco di mais, una lucciola stilizzata, a seconda delle sue espressioni, inviate con casualità senza alcun filo logico nè legame, rappresentavano davvero per la sottoscritta uno stato d' animo ed allora una smorfia poteva essere un' indigestione, un occhiolino uno strano tic nervoso ed una risata riuscivo persino a sentirla. Forse mi trovavo da uno o una psichiatra senza neanche saperlo nè conoscerne il volto ma è stato bello perchè per me, che sono matta, non è importante quanto mi si consideri ma come lo si fa e siccome, oltre che matta, ho dei problemi con le illusioni ho pensato che dall' altra parte il dito che cliccava fosse di un solo "specialista" non di un ' intera équipe medica. Ma alla fine non m'importa, io mi sono divertita e l' aver partecipato ad un esperimento questa volta è stato piacevole. Apprezzo, nonostante tutto, Fb e ci gioco, un passatempo come un altro, adoro questo mio blog sempre di più ma, per quanto riguarda le metodologie di comunicazione, la più innovativa, speciale, sorprendente, rivoluzionaria che abbia mai visto "ultimamente" è sotto il mio balcone, per una dirimpettaia fortunata: "TI AMO o4.03.09" un messaggio reale, scritto sull' asfalto, inequivocabile, facilmente interpretabile, da una sola persona ad un' altra...tra cielo e terra...dove c'è quello che qui si può continuare a cercare ma difficilmente a trovare.

20 maggio, 2009

Io e le formiche


Ore 19,05: rientrando a casa dall' ufficio, percorrendo sempre la stessa strada, oggi sotto un sole a dir poco cocente..."Ciao Simo! Torni a casa dal lavoro?" mi volto, un po' stordita ed affannata, è Aldo che, dall' altro lato della strada, mi sorride in compagnia di due amici, io ricambio il sorriso rispondendogli "Stavo contando le blatte sul marciapiede"...Ma come riesco a dire certe cose? Cioè lo stavo facendo sul serio perchè con tutto il calore che l' asfalto trattiene è normale che in estate gli scarafaggi prolifichino, ma potevo anche tenermelo per me, no?! Mi hanno guardata con comprensione ed io li ho salutati riabbassando nuovamente lo sguardo, alla ricerca di qualche altro piccolo esserino. Gli scarafaggi non sono certo la mia passione ma se li pensate a dover sfuggire agli artigli dei gatti della colonia felina di Via Coazze, che grazie ad una gattara premurosa sembrano pantere, il risultato è una lotta per la sopravvivenza. Spunto per un post, riportare fedelmente quanto letto la sera prima...
"Guardo la processione delle formiche
tra erba e sassi nel loro sentiero privato
loro non mi vedono
non sanno che esisto
vanno continuamente avanti e indietro
in due colonne ordinate
chi porta un frammento di foglia
chi si ferma a chiacchierare con le antenne di un' altra formica
secondo i programmi della loro collettività.
Mi volto a guardare verso il cielo
per vedere se c'è qualche essere gigantesco ed invisibile
come io sono per le formiche
che mi sta osservando ma che io non vedo
non vedo nessuno
ma non posso sapere se c'è o se non c'è."
Ovviamente...B.Munari

19 maggio, 2009

Si fa presto a dire blog...

Quante ma quante cose avrei da scrivere in una giornata "di sole e d'azzurro" come questa, talmente tante che non so davvero da dove incominciare: ho almeno tre titoli di post da sviluppare liberando la lingua o meglio le dita, traducendo il pensiero in parola, la critica in liberazione, qui su tutte le pagine bianche a mia disposizione, ancora da riempire. Questa può essere considerata una sorta di introduzione in cui ricordo come, non ancora un anno fa, iniziava l' "avventura". Non ne conoscevo neppure il significato: era una parolina buffa che a dir la verità mi ricordava soltanto i fumetti, "blog" poteva essere la nuvoletta in cui si esprimeva Topolino o Dylan Dog, una caramella gommosa al sapore di fragola, o un liquido efficace per sturare i lavandini, qualsiasi cosa a me, comunque, del tutto sconosciuta. Adesso so che letteralmente vuol dire più o meno questo: "Blog è un termine nato dalla contrazione di Web e Log, ovvero internet e diario/traccia" ma il mio, nonostante io ora sappia che cosa dovrebbe raccogliere, continua, per certi versi, ad essere la nuvoletta, la caramella, lo stura-lavandini. Mi ha invogliata a scrivere sfruttando questa forma di asettica comunicazione, la lettura di un blog impegnato, serio, che seguivo con curiosità e frequenza, riponendo nell' autore e nei suoi post, la mia stima oltre che il mio entusiasmo, pensavo "Per scrivere così bene è necessario pensare altrettanto bene" ed allora, nonostante di alcuni non ne capissi il significato e mi sforzassi di interpretare, altri meritavano di essere addirittura riletti e divulgati fra gli amici, lo ringrazio per questo e per molto altro. Google ha fatto il resto: chiunque, anche la meno esperta del web come la sottoscritta, riuscirebbe a crearsi uno spazio simile, è stato un po' come seguire le istruzioni per montare una sedia o un tavolino su cui appoggiare il pc cercando di stare dritta con la schiena e scrivere quindi più comodamente, un passo dopo l' altro, all' inizio vergognandosi un po' e facendo il possibile per cavarmela da sola, dubitando di un qualsiasi risultato tangibile ma comunque provando, così, anche solo per divertimento. A dir la verità io non ho mai avuto un vero e proprio diario segreto, quanto piuttosto fogli di carta, pagine di quaderno, diari scolastici su cui appuntare semplicemente un pensiero, un' idea e non dettagliando mai con estrema precisione nè la fonte nè l' obbiettivo, casualità e follia. Una volta scelto un modello, un colore, un' immagine gli si da un nome ed il mio, senza pensarci un attimo, nè copiandolo da niente e nessuno è Clorophilla. Non Goccia di rugiada, Linfa verde nè Verde muschio, ma Clorophilla e tutto questo, anche se potrà sembrare banale, ha un senso. Non salirò certo in cattedra per spiegare la fotosintesi clorofilliana, non basterebbe un post, ma posso riportare la definizione più sintetica che abbia trovato sul web che ne rende quantomeno l' idea: "Mediante la clorofilla, l'energia solare (luce) viene trasformata in uno zucchero definito glucosio fondamentale per la vita della pianta la cui formula chimica è: C6H12O6,ovvero 6 atomi di carbonio,12 di idrogeno e 6 di ossigeno.Inoltre alla pianta(detta autotrofa)rimangono 6 atomi di ossigeno atmosferico di cui si libera grazie agli stomi delle sue foglie. Oggi questo processo è quello nettamente dominante sulla Terra, per la produzione di composti organici da sostanze inorganiche e, probabilmente, rappresenta la prima forma di processo anabolico sviluppato dagli organismi viventi. Inoltre, la fotosintesi è l'unico processo biologicamente importante in grado di raccogliere l' energia solare, da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra". Adesso potete sbadigliare...Ecco: una sostanza che come una pozione magica riesca a dar vita a qualcosa sfruttando solo energia presente in natura. Le mie potenzialità in confronto sono piuttosto scarse ma il sole mi rende sicuramente più attiva e vitale e così anche un flash, un ricordo, un' idea riattivano i miei centri nervosi stimolando la fantasia, la polemica, il dissenso, la critica, il vittimismo e quant'altro si ritrova poi leggendo i miei scritti, il tutto spolverato a volte con una bella manciata di "glucosio". Il primo post pubblicato, dopo aver posizionato una sorta di "zerbino" davanti alla porta di questa mia piccola tana in cui ridevo del disappunto di Stefano a proposito dei blog in generale, è stata, udite udite un' ode, non una semplice rima nè una poesia ma una vera e propria ode, ad un barattolo di Nutella. Esprimevo così la mia venerazione nei confronti di quella cremosa, profumata, golosa prelibatezza dagli ingredienti semplici, che esiste da una vita, che da bambina spalmavo sul pane e in cui invece da adulta immergo sfacciatamente le dita, una metafora? Magari si, magari no. Allora però la clorofilla scorreva più velocemente garantendo una produzione di glucosio davvero fuori dal comune. Ogni giorno scrivevo qualcosa non rendendomi bene conto di dove tutti i miei pensieri andassero poi a confluire, scrivevo per il puro piacere di farlo non avendo sempre qualcosa di così importante da comunicare. Gli amici più affezionati mi guardavano già allora con aria dubbiosa dopo essere passati a curiosare, qualcuno ha messo da parte la timidezza e mi ha lasciato anche qualche commento, altri lo fanno a parole tutte le volte che mi vedono, altri me ne chiedono ancora il senso o l'utilità. Ammetto che sarebbe più utile dare un'opinione personale su qualcosa di tangibile come un prodotto, un'idea, consigliando i lettori ad usare quello piuttosto che quell' altro dentifricio affinchè il sorriso risulti sempre più smagliante, non ci riesco, non è il mio obbiettivo e sinceramente questo blog non ha obbiettivi. Non cerco consensi, non ho sogni di gloria, scrivo, solo questo, per chi ha un po' di tempo per leggere, per chi vuole anche solo curiosare tra le righe della vita di una trentaquattrenne a volte poco matura, a volte poco ottimista ma anche, a volte, incredibilmente bizzarra e fantasiosa. Scrivo pubblicamente e non ho più paura degli attacchi da parte di chi vigliaccamente resta nell' anonimato, ho fatto una scelta quella di "pubblicare" vale a dire rendere noti i miei pensieri anche più intimi ad una platea più vasta anche se i visitatori magari non sono poi così tanti. Certo all' inizio le "coccole" ed i consensi mi rendevano felice e soddisfatta, spronandomi a dare di più, a scoprire gli angoli nascosti ancora poco visibili, ma le cose cambiano come le persone e bisogna accettarlo conservando però il ricordo migliore che ci hanno lasciato: un sorriso, uno sguardo, una parola anche solo sussurrata. E' quasi un anno che scrivo qui e non ho ancora pensato di smettere. Spero di riuscire a consigliarvi un dentifricio-sorriso prima o poi, quello da spalmare su tutta la faccia non solo sui denti per apparire sempre perfetti, in sintonia con un mondo che preferisce i sorrisini anche solo di circostanza ai musi lunghi o alle boccacce. Sfido a colpi di battute le critiche ed incoraggio chiunque abbia qualcosa di importante, a suo giudizio, da comunicare, a farlo, spensieratamente, senza pensarci poi tanto, iniziando magari da un' ode ad un barattolo di Nutella. Non c'è nulla di sbagliato in un blog e chi sbaglia è chi pensa di non aver più nulla da dire.

16 maggio, 2009

Il colore del grano

"In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo….
"Chi sei?" domandò il piccolo principe, " sei molto carino…"
"Sono la volpe", disse la volpe.
" Vieni a giocare con me", disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah! scusa ", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:" Che cosa vuol dire addomesticare?"
" Non sei di queste parti, tu", disse la volpe" che cosa cerchi?"
" Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
" Che cosa vuol dire addomesticare?"
" Gli uomini" disse la volpe" hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso!Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?"
"No", disse il piccolo principe. " Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?"
" E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
" Creare dei legami?"
" Certo", disse la volpe. " Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma.se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
" Comincio a capire", disse il piccolo principe. " C'è un fiore…. Credo che mi abbia addomesticato…"
"E' possibile", disse la volpe "capita di tutto sulla terra…"
"Oh! Non è sulla terra", disse il piccolo principe.La volpe sembrò perplessa:" Su un altro pianeta?"
" Sì"
" Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
" No"" Questo mi interessa! E delle galline?"
" No"
" Non c'è niente di perfetto", sospirò la volpe.Ma la volpe ritornò alla sua idea:" La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me .Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi la mia vita, sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…"
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:" Per favore …..addomesticami", disse.
"Volentieri", rispose il piccolo principe, " ma non ho molto tempo, però.Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose".
" Non si conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe.
" Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
" Che bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
" Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe.
" In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino…."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
" Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
" Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità.Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti"."
Che cos'è un rito?" disse il piccolo principe.
" Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe.
" E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:"Ah!" disse la volpe, "…Piangerò".
" La colpa è tua", disse il piccolo principe, "Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…"
" E' vero", disse la volpe.
" Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
" E' certo", disse la volpe.
" Ma allora che ci guadagni?"
" Ci guadagno", disse la volpe, " il colore del grano".

14 maggio, 2009

Dinosauri e pulcini


Torino da circa un mese sembra più un ovile che una metropoli: uova enormi tappezzano i muri della città, confondendomi un po' le idee: "Ma la Pasqua non è già passata? Siamo a maggio, no?", solo soffermandomici più da vicino mi sono accorta che si trattava semplicemente della pubblicità del tanto atteso Salone del Libro, ospitato, chissà ancora per quanto, al Lingotto Fiere. Criticato, decantato, sopravvalutato ma anche per lui vige la regola del "...purchè se ne parli..." ed allora, seguendo l' esempio dell' amica Katiu, eccomi a parlarne. Lo slogan a caratteri cubitali, in bella vista sopra l' uovo per intenderci, è il seguente "Io, gli altri" sottotitolo "Occasioni per uscire dal guscio": certo belle parole, piene di significato e buoni propositi, peccato che viviamo in una società in cui "gli altri" ultimamente non siano poi così ben visti, in cui l' ipocrisia nasconda spesso il reale, camuffi il falso in sincero. Ed allora, a volte, meglio restarsene nel proprio guscio. Se fossi io il piccolo, intimorito, pulcino all' interno, penserei tra me e me "Uscire? E chi me lo fa fare?Sto così bene qui al calduccio..." e invece no, c'è qualcuno al di fuori che bussa disturbando il quieto vivere ma soprattutto il quieto pensare: si guardi il manifesto, anche su internet, è poi così scontato il messaggio che le crepe sul guscio siano create dall' "interno" anzichè dall' "esterno"? Io, gli altri...mille interpretazioni da dare a così poche parole. Io: è da quando frequentavo il liceo che non me ne perdo un' edizione, certo il mio modo di visitare la fiera è cambiato ed "evoluto" negli anni. Ricordo quando al liceo si organizzava il pomeriggio dopo le lezioni, zainetto in spalla e quadernetto su cui si annotavano i titoli da cercare, si faceva la solita chilometrica coda alla biglietteria dopodichè, una volta varcata la soglia, ci si disperdeva dandosi appuntamento ad una certa ora in un determinato posto, scelto a caso sulla mappa, come su un ' isola da esplorare. Allora compravo quei libricini di poesie dei grandi autori a sole mille lire, le famose magliette "Le Parole in Cotone" ed ero particolarmente incuriosita dai fumetti e dai libri di ricette, come se poi fossi diventata una grande cuoca ma... Giacchetta blu e scarpe da ginnastica, ci si aggirava tra gli stand alla ricerca di poster, segnalibri ed adesivi da portare a casa, possibilmente gratis. All' università si cambia, si sa, ed allora anche al Salone del Libro si andava con uno spirito diverso, ci si presentava all' ingresso armati di libretto, questo dava diritto ad un bello sconto sul prezzo del biglietto: le compagne più affezionate, io, Federica e Cosetta, vestite un po' come capitava, pronte a trascorrerci addirittura un' intera giornata, compatte, unite, alla ricerca di spunti interessanti per la tesi, volumi di scienze introvabili in libreria, guide naturalistiche, album di fotografie di animali, fiori e piante ed anche qualche conferenza in cui intrufolarsi silenziosamente, spintonando un po,' quantomeno per riuscire ad ascoltare. E poi l' occasione di essere presente come standista, unendo così l' utile al dilettevole: lasciavo lo stand solo in pausa pranzo e, sbocconcellando un panino, cercavo, a passi lunghi e ben distesi, di visitare ogni giorno un' area diversa, in modo che nulla mi sfuggisse. Era il periodo in cui mi avvicinavo al mondo animalista ed alle sue mille problematiche e così i "divulgatori" della Lav o dell' Enpa presenti, diventavano subito amici con cui condividere una "battaglia" per una giusta causa. Allora si che uscivo dal guscio volentieri, che credevo che urlando più forte di altri sarebbe stato facile farsi sentire, che ogni occasione era da cogliere al volo per promuovere un' iniziativa, che nessuno avrebbe dovuto bussare per cercarmi perchè mi avrebbe trovata già fuori. L' entusiasmo non si smorza negli anni ma cambia ed assume nuovi connotati: ora, sempre agguerrita in campo animalista, sono diventata anche stupidamente polemica forse in maniera esagerata, prolissa e polemica e quindi le crepe sul mio guscio sono sicuramente di chi mi ci vuol far uscire, ignaro però di ciò che l' aspetta. Non un pulcino intimorito ma un T-rex che si domanda come sia possibile aver previsto uno sconto alla biglietteria per scolaresche, insegnanti, disabili, giornalisti, scrittori in erba, scrittori che, visto quello che scrivono, fumano erba, insomma pressochè per chiunque e nulla per coloro i quali, come la sottoscritta, semplicemente amano leggere ed ancora acquistare un buon libro. Rissumendo: entro pagando otto euro, esco avendone spese almeno cinquanta e come ringraziamento per la mia visita ed il mio contributo a chi per esporre in uno stand paga un affitto di almeno ottocento euro, non ho nulla, neppure un uovo. Non sono gli editori a doverci pensare quanto piuttosto gli organizzatori dell' evento che ancora sperano di poter continuare a "trattenere" nella nostra bella città. Credo venga definita "pubblicità". Il Salone sarà un successo, ne sono certa, ma spero lo si rivelino soprattutto le vendite, non solo le conferenze gratuite a cui, per una persona che lavora in ufficio otto ore al giorno, è pressochè impossibile partecipare (Danilo Mainardi venerdì alle, udite udite, ore 12,oo) ma proprio le vendite "importanti" e non dei volumetti da mille lire, oggi un euro. Così come spero, ma a questo dedicherò un altro post, che venga seriamente dato ampio spazio al discorso Ebook: il grande amico delle foreste, delle mamme, come la mia, che con grossi problemi di vista, stanno rinunciando alla lettura per una questione di "grandezza di caratteri", degli amanti della tecnologia e di chi, semplicemente, impara a digitare e non più sfogliare, magari per salvare un albero in più, sprecando così meno carta, a volte stampata per divulgare pensieri e parole dall' incerto significato. Io: non so se quest' anno "uscirò dal guscio" ma da uno spiraglio cercherò di godermi lo spettacolo...agli "altri" che lo faranno...buon divertimento!

11 maggio, 2009

Semplificare

"Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Piero Angela ha detto un giorno "E' difficile essere facili". Per semplificare bisogna togliere e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c'è in più della scultura che vuol fare. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare per togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere potrebbe essere la regola anche per la comunicazione visiva a due dimensioni come il disegno e la pittura, a tre come la scultura o l' architettura, a quattro dimensioni come il cinema. Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l' essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode, il teorema di Pitagora ha una data di nascita, ma per la sua essenzialità è fuori dal tempo. Potrebbe essere complicato aggiungendogli fronzoli non essenziali secondo la moda del momento, ma questo non ha alcun senso secondo i principi della comunicazione visiva relativa al fenomeno.
Eppure la gente quando si trova di fronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente: "questo lo so fare anch'io" intendendo di non dare valore alle cose semplici perchè a quel punto diventano quasi ovvie. In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può Rifare, altrimenti l' avrebbe già fatto prima.
La semplificazione è il segno dell' intelligenza, un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte."

10 maggio, 2009

Entusiasmo

L'entusiasmo è anche questo: sveglia alle otto, preparare una prelibata ed abbondante colazione, un bacio al maritino ancora impegnato a terminare qualche sogno cinematografico in Tecnicolor, una spolverata qua e la in questa casa che, per fortuna, non è una reggia, doccia fresca e profumata, capelli raccolti "alla disperata", una pulitina alle lenti prima di inforcare gli occhialini e...zac, la spina entra nella presa di corrente e l' elettricità arriva in un attimo a pc, dita e cervello. Idee come sempre un po' confuse ma il lavoro c'è, tanto, disordinato ma decisamente invogliante. Un' occhiata veloce alle mail, mai così numerose, un saluto virtuale agli amici virtuali e clic sulla cartella "progetti". Se dovessi inserirci tutti quelli che ho per la testa, probabilmente non mi basterebbe una cartella di Word ma, per ora, quello a cui è necessario dedicarsi è il sito di Chiara...Uao!!!!Procede, è bello, semplice, senza tanti inutili "fronzoli" che, ehm, non saprei neppure come inserire, si arricchisce ed è un onore per me lavorarci con così tanto entusiasmo. Si ripetono piacevolmente gli incontri settimanali con l' artista (Chiara) e l' amministratore delegato (Aldo), qui intorno ad un tavolo ad immaginare, sperare a soprattutto ridere: puoi avere le idee più geniali ma se, nell'esprimerle, ti prendi troppo sul serio, ostacoli la fantasia che entra e partecipa al ritrovo solo se, come invito, riceve quanto meno un sorriso.
Sorriso che a volte si smorza quando incontro delle difficoltà nell' impaginazione, scrivo il testo in un punto e me lo ritrovo da tutt' altra parte o credo di centrare un' immagine e, difetto di fabbricazione la mia precisione maniacale in alcune cose, c'è sempre qualche millimetro di differenza tra un margine e l' altro. Chiara sopporta le mie manie ed è sempre contenta, qualsiasi cosa io le proponga forse perchè anche al suo fianco c'è "Entusiasmo". Un po' come un saggio, un uomo di mezz' età, il nonno che nessuna delle due ha più, che ci sprona, ci incoraggia, ci asseconda, ci aiuta, magari non praticamente, ma che c'è e non ci lascia mai sole, obbligandoci a cercarlo chissà dove. O l' amico immaginario, giovane, bello, disponibile ed affettuoso, che ci riempie di attenzioni, fiori e cioccolatini e buoni consigli perchè se ne intende, con un "brave!" ci spiega che per i sogni c'è sempre un po' di tempo anche se per la vita ed il quotidiano spesso non bastano le venti quattro ore. Non vedo l'ora che l' opera sia compiuta per brindare non più con un bicchiere di chinotto ma di champagne! Hip hip urrà!

09 maggio, 2009

Molliche di pane

Sono arrivata, ancora un po' intorpidita e confusa a causa del lungo peregrinare ma sufficientemente sveglia. Lungo il sentiero del ritorno non ho ritrovato proprio tutte le molliche di pane che avevo lasciato, sono stata costretta a cercare altri riferimenti intorno a me e così, alla fine, non mi sono persa, almeno non del tutto: ora sono qui sul mio tappeto a scrivere. Affermare di aver capito è ancora un po' azzardato ma sostenere di aver provato e fallito no. Sono tristemente soddisfatta oggi per averci comunque creduto e tanto, per essermi anche soltanto illusa ed aver vissuto momenti felici, importanti, che non dimenticherò, del resto la fantasia e l' incomprensione, combinate insieme, possono provocare emozioni forti ma anche delusioni difficilmente accettabili. Mi sono avvicinata nuda indossando solo un sorriso, non ho mai nascosto nulla nè portato abiti di qualcun' altra e non posso pentirmi di questo, non ora, non oggi nè mai. Sono parole da incosciente, me ne rendo conto, ma infondo io sono anche questo: un' illusa sognatrice incosciente. Un anno passa ormai quasi come un giorno e magari, già domani, sarà lontano anni luce anche solo un pensiero che per un attimo è stato condiviso. Sincere le lacrime, gli abbracci, i sorrisi ed il desiderio di coinvolgimento in progetti, ambizioni e stupidaggini e adesso, che la voragine del "niente" è invalicabile, mi consola il piacere di ciò che ho vissuto. E' un po' come quando si rinuncia ad un qualcosa di talmente bello da non volerlo cedere a nessun altro, credendolo solo ed unicamente proprio: lo si guarda, lo si porge ma non lo si riesce a lasciar andare. Oggi io lascio andare e sorrido a chi si sta già godendo ciò a cui io mi sono così tanto affezionata e non ho rimpianti nè rimorsi, la condizione ideale direi per chi, come me, ha creduto possibile l' impossibile. Non mi aspetto più un ritorno ma se questo accadrà io ci sarò, qui seduta sul mio tappeto, come su un prato, a scrivere.

04 maggio, 2009

Cercasi fata turchina

Il naso c'è e si vede, qualche bugia di troppo anche, il grillo petulante sulla spalla che blatera le sue frasi sul come e cosa dire, ma, ohibò, mi sono persa la fata turchina! Si, la bontà fatta persona, colei che meno invadente dell' insetto rumoroso, ti consiglia cosa fare per essere più buona, saggia, ottimista, insomma, l' individuo con cui tutti vorrebbero avere a che fare. Una fata c'è ma ha i capelli verdi che scendono giù sulle sue spalle e sui suoi occhi come liane annodate, la fata del "forse" e del "ma" quella che consigli non te ne da, non per cattiveria, ma perchè ha bisogno anche lei di essere consigliata. A volte mi ritrovo a ridere con le lacrime agli occhi ripetendo frasi sconnesse e prive di un senso logico "Che bello...", "Contenta per te...", "E' dinuovo primavera...", "Sarà sicuramente più divertente..." frasi che se al mio fianco spuntasse la fatina non mi permetterebbe di pronunciare, rammentandomi che c'è un tempo per tutto: per pensare, parlare ed ammirare le stelle. La libertà di parola non può e non deve essere per tutti ma per pochi, per gli eletti, quelli colti che hanno studiato e che sanno cosa dire nel modo giusto e nel momento giusto, che lo dicono bene con tutti i congiuntivi coniugati correttamente, quelli che trasmettono un messaggio forte e chiaro non pentendosi mai delle relative conseguenze, quelli che se mettono un punto lo fanno bello tondo in modo che non possa sembrare, mai, soltanto una virgola. Mi ci vuole qualcuno che mi faccia star zitta, che mi faccia smettere di elucubrare e che mi insegni a diventare indifferente difronte ai giudizi spesso spietati ma forse, chissà, veritieri.
Beato chi l' ha trovata e se la tiene stretta stretta a dispensar sorrisi e consigli, chi riesce ad emozionarsi con lei stagione dopo stagione senza pudore ma pur sempre con eleganza e raffinatezza, chi le si affida completamente consapevole del fatto che "non capiti con tutte" le fate del mondo un così bel feeling. Ma sì infondo un Pinocchio senza fata turchina fa sorridere no? Non sarà provocante e sensuale ma a volte può rivelarsi divertente nonostante la sua testa di legno. Forse è giusto così, ci devo sbattere il naso contro tutte le volte e ancora, ancora, ancora...Chissà la favola come andrà a finire.

03 maggio, 2009

Post a 4 zampe

Ed eccoci di nuovo a casa: Simo disfa i bagagli, Ste è sotto la doccia ed io ne approfitto e racconto il mio week-end,vediamo se, impegnandomi un po,' riesco a non scrivere "da cani".
Questa volta sono partita anch' io con loro alla volta di Pollone, io però non ho mai un gran bagaglio da portare con me: un sacchetto di crocchette light, che intanto non risolveranno i miei problemi di sovrappeso, il flaconcino di gocce per l' otite che mi tormenta rendendo il mio orecchio destro peggio di una betoniera produttrice di cerume anziché catrame, una scatola di biscotti ai quali non riesco a resistere ed un quantitativo esagerato di sacchettini raccogli-pupù.
All' andata ho dormicchiato per tutto il viaggio con la testa ben appoggiata al sedile posteriore ed ho aspettato buona buona il fatidico colpetto di clacson che Ste è solito dare giunto al bivio con la piccola e tortuosa stradina che ci conduce a destinazione. E' sufficiente il primo bip a destarmi, risvegliando dal sonno il mio entusiasmo. Abbiamo lasciato una città "fantasma" in questo che era un altro fine settimana di festa, per respirare, come dicono ancora genitori e nonni, un po' d' aria buona. La Primavera lassù è davvero arrivata e la si può già ammirare nel piccolo giardinetto di casa dove, sotto la betulla, sono fioriti quattro tulipani rossi ai quali Simo non riesce mai a resistere, li ha osservati da vicino come se fossero creature di un altro pianeta dalla bellezza disarmante nonostante la semplicità dei loro soli quattro petali. Io generalmente non faccio molto caso a questo genere di cose, cerco piuttosto un angolino per lasciare qualche gocciolina di pipì, non curante dello stupore che dimostra sempre per un qualcosa di normale per gli altri, speciale per lei. Come quando, mentre io cerco e annuso, lei si siede ad aspettarmi sui primi gradini di pietra della scala e, parlando a bassavoce, mi racconta la storia della limonina che ormai conosco a memoria. E' un cespuglio incolto dai rami esili e flessibili che oscillano al vento, con foglie lanceolate sottili ma dalla pagina spessa che se le si strofina, anche solo per un attimo, sprigionano un piacevole ed inebriante aroma di limone. "Lo sai Cabì, con queste foglie mia nonna in campagna faceva un ottimo digestivo che imbottigliava personalmente e, una volta pronto, era fiera di servire ai suoi ospiti in piccoli bicchierini antichi, io, come in tutti i liquori, ci immergevo solo la punta della lingua, lo faccio ancora..." e oggi, proprio dopo questa storia chissà che cosa le è venuto in mente..."devo smetterla mia cara cagnolona di accarezzare un sasso, che per tiepido che possa sembrare, resta sempre un sasso". Cosa mi avrà voluto dire ancora non lo so. Si è alzata di soprassalto e con un "Su raggiungiamo Ste" si è stretta nella sua vecchia felpa blu e mi ha preceduta salendo le scale. Le due giornate sono trascorse veloci, sempre troppo veloci: abbiamo camminato sulla Burcina raggiungendone la vetta, riso guardando le strane forme dei tronchi d' albero, scattato una miriade di fotografie, coccolati a vicenda e rotolati su un morbido tappeto verde. E' stato un bellissimo week end che fa di me un cane fortunato anche se, su quel gradino, vicino alla limonina, non ho trovato le parole giuste per consolarla.