19 settembre, 2008
Etichette
Stamattina a Torino era praticamente autunno inoltrato: cielo grigio e pioggia fitta, lungo il corso un vento freddo scompigliava le chiome dei platani facendone cadere le foglie. Mi piace l'autunno e se vogliamo anche la pioggia, concilia il sonno ed i pensieri...In ufficio ho cercato di tenere a bada, poco e male, il mio nervosismo legato alla preoccupazione di non finire in tempo utile il lavoro che sto facendo e di conseguenza non mi sono crogiolata in quella bella e unica atmosfera che si respira il venerdì. L' Arch. con il maglioncino blu e jeans anzichè giacca e cravatta, sua moglie indaffarata ad organizzare il week-end, Gianna e il Geo a scherzare...insomma una giornata diversa.E io?Ferma assolutamente ferma davanti al mio pc, con le mie quattro frecce ben accese come in quella pubblicità tanto in voga in questo momento alla Tv, ad inserire dati, elaborare, stampare, veloce manualmente, lentissima mentalmente. Unica pausa che mi sono concessa, in completa solitudine, i miei 5 cracker ai cereali guardando fuori dalla finestra: la pioggia sempre più fine stava facendosi da parte dinnanzi ad un pallido ma caldo sole. E poi...galeotto fu il cracker...In questa sede non ho ancora sproloquiato sulle etichette a volte mal apposte sulle persone. Un giudizio è un' etichetta: tu che ti credi un universo, un cielo a volte buio a volte stellato, un codice difficile da decifrare bè scopri a malincuore che a qualcuno basta una parola per definirti e tutto si riduce poi a quello. Inutili le buone intenzioni, ti avvicini e zacchete c'è chi prontamente allunga una mano e ti appiccica un'etichetta. E il mondo va avanti così: da una parte quelli che giudicano con le loro etichette ben in vista e il loro pennarello nero dall' inchiostro perenne ed indelebile e dall' altra quelli che attendono il giudizio. Una volta etichettati è difficile, molto difficile, riuscire a staccarsi di dosso quel giudizio.E' più facile, il trucco sta proprio lì, è più facile giudicare che essere giudicati ed ecco perchè ci sono persone su cui le etichette non le si sa più dove attaccare. E' facile, veloce ed indolore: passi accanto a qualcuno, magari neanche lo guardi, neanche ti soffermi a chiederti cosa stia pensando, come stia fisicamente, se pianga o rida, niente ti riesce a distrarre, passi ed attacchi...Il primo stadio prevede l' autodifesa del bersaglio, la sequenza dei "non è vero..", "non sono così..", "ti sbagli...", "non mi conosci...", il secondo l' attacco incrociato fatto di accuse reciproce "allora anche tu sei...", il terzo, quello a cui sono io, la rassegnazione. Attenzione! Rassegnazione non serenità. Penso, ma forse questo per un innato istinto di sopravvivenza, a chi mi sta giudicando e mi domando subito quanto valga per me un suo giudizio se tanto o poco, nel primo caso mi arrendo e mi lascio etichettare, nel secondo man mano che mi si appiaccicano le etichette riesco a staccarmele di dosso da sola con un soffio pensando che "Ha diritto di giudicare solo chi sa meglio fare". Stasera anch'io ho un' altra etichetta, che fortuna, ma riesco a riderci su e me la tengo nella speranza che la persona che me l'ha attaccata un giorno passi a riprendersela, il giorno in cui riuscirà a (ri)vedere in me qualcosa di interessante, prezioso e magari persino utile.
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